Una chiesa dimenticata di Forza d’Agrò: la chiesa di San Sebastiano

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Forza d’Agrò – La chiesa di S. Sebastiano si trova nella zona di nord-ovest di Forza d’Agrò, nell’antico quartiere “Màgghia” posto alla immediata periferia del paese. Ai piedi dell’elevata rupe su cui è edificato il Castello normanno, si scorgono le case che, sotto lo sguardo attento e austero del fumante Etna, formarono un tempo il piccolo borgo di Màgghia. Al gruppo di case è stato dato nome “Màgghia”, forse dal greco μαγια (che si legge “maghia”) che significa “magia, incantesimo, illusione”, a sottolineare il luogo incantevole scelto come residenza da una parte dell’originaria gente forzese, probabilmente quella giunta al seguito dei Normanni, insediati nel Castello dall’XI secolo.Non si conosce il periodo in cui la chiesa di S. Sebastiano sarebbe stata eretta ma, essendo San Sebastiano il protettore contro la peste, è pensabile che la costruzione dell’edificio religioso sia avvenuta dopo una delle tante epidemie che, nei secoli, hanno colpito la zona. Queste gravi calamità si sono verificate con frequenza (1269, 1347, 1355, 1437, 1452, 1468, 1480, 1485, 1500, 1523), e tra il XV e XVI secolo anche nei Comuni vicini di Lìmina, Mongiuffi Melia, Gallodoro e Gaggi sono state edificate chiese dedicate a San Sebastiano.

La piccola chiesa ha ormai perso la sua sfida col tempo: il tutto è oggi in rovina. Fa eccezione, miracolosamente, nella parte superiore del catino absidale, un bellissimo, seppur deteriorato, affresco. Si tratta dell’Onnipotente, il “Padreterno” rappresentato tra le nubi a mezzo busto, con una fluente barba bianca, avvolto in una tunica azzurra coperta da un ampio mantello rosso a pieghe e con il tipico triangolo sul capo, come nella rappresentazione della SS. Trinità. Non vi è più traccia della figura di San Sebastiano e di quella di Sant’Apollonia, protettrice dei denti (“jànghi”, in dialetto), che gli era vicina e che ancora è nel ricordo di alcuni Forzesi.

Un’anziana signora afferma che vi fossero raffigurati anche S. Barbara e S. Vito, ma di ciò non ho avuto conferma da altri. Dal registro di Forza d’Agrò n. 295 conservato presso l’Archivio Diocesano Archimandritato di Messina, ho preso visione della copia conforme all’originale dei sacri arredi e suppellettili della “chiesa di San Sebastiano, della prima Settembre 1855”.

Nell’elenco, eseguito dal sac. Procuratore Gaetano Colosi e dal sac. Epifanio Garufi il 20 aprile 1864, risulta tra l’altro essere in possesso della chiesa “una sfera d’argento con reliquia del Santo”. Nel registro dei defunti (Archivio dell’Arcipretura, faldoni 7 e 8) è documentato come anche nella chiesa di San Sebastiano venissero effettuate delle sepolture. Per esempio, nel 1681, Dominichella Famulari di anni 67 circa, dopo aver ricevuto il sacramento dell’estrema unzione, è stata “sepolta nella chiesa di San Sebastiano”. L’esteso accumulo di rovine, che copre il pavimento, nasconde una botola che, al centro dell’antico edificio religioso, portava alla cripta sotterranea dove venivano seppelliti i cadaveri delle persone defunte.

Il signor Giuseppe Di Cara, prima di morire ultranovantenne, ricordava ancora, per averlo saputo dai suoi progenitori, come i morti venissero trasportati a mano entro un lenzuolo bianco e poi fossero deposti nella cripta che fungeva da fossa comune.In una corrispondenza della seconda metà dell’800 tra l’Arcipretura forzese e la Curia messinese, conservata presso l’Archivio Diocesano Archimandritato di Messina (registro n° 295), a proposito dello stato delle cappelle e delle chiese di Forza d’Agrò, si legge: “La chiesa di San Sebastiano [ha] il tetto cadente, la fossa quasi piena, da più anni che non si celebra messa ne festa, e tra fondi rustici ed urbani possiede circa lire duecento annui”.

Alcune case del borgo appartenevano alla chiesa di S. Sebastiano. In seguito alle leggi del 1866 e 1867, che stabilirono la confisca dei beni ecclesiastici da parte dello Stato italiano, anche la chiesa di Màgghia è stata privata dei suoi possedimenti.

Tra questi, come scrive Salvatore Cucinotta nel suo libro Sicilia e Siciliani (1996), tre casette acquisite dal sig. Giovanni Falcone al prezzo di 220 lire.

Nicola Di Cara

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